Una bella stagione di lavoro, così mi sembra di poter dire del pittore, dopo aver os- servato le sue opere pronte per questa mostra alla Schettini. Già la rassegna in questa nota galleria d’arte milanese è un ambito, meritato indice di riconoscimento. Ancora un livello più astratto, più puro, dove i piani d’orizzonte (già così tesi nei quadri precedenti) si sono rarefatti in un cosmo assoluto, atemporale. In questo quadrante spaziale (caro a Mondrian, indispensabile a Tancredi), Luigi Ravasio enuclea la sua ricerca: emergono forme, vettori, strutture che si assemblano e si snodano con ritmo e virtù di sofisticata progettazione e di nitida lettura; il rigore mi pare ineccepibile.
Memoria e partecipazione o meglio l’estrapolazione esistenziale viene espressa per metafore di immagini: ora associate, ora antagoniste ora annodate; quindi sciolte, sinuose, svettanti e sempre efficacemente rese con l’ ausilio di una tavolozza che amalgama gustose essenze di colore.
Come a dire che il pigmento è per l’artista un fattore non secondario della sua singolare ricerca. Il nuovo del suo lavoro è un maturare dialettico, ragionato, per sintesi, un procedere senza soluzioni di continuità.
Tra un prima e un poi (a parte l’iniziale periodo figurativo, proiezione quasi inconscia per un pittore che vive in un ambiente di solida e suggestiva tradizione come quello bergamasco), le differenze nella sua pittura vanno colte, a mio avviso, in quel rapporto sempre più accostato, comunicante che Luigi Ravasio intuisce e stabilisce con la scientificità del nostro tempo storico.
Il noto statuto mitico-burocratico dell’immagine corporativa sociale qui viene archiviato, perché il pittore – questa è l’impressione – dipinge e capta linguaggi, schemi, tecnologie che stanno tra l’evoluzione culturale in corso e l’approdo prossimo della conoscenza; le sue opere ne evidenziano e ne anticipano le folgorazioni cromatiche, i buchi di luce, le sollecitazioni energetiche come se l’ artista disponesse di informazioni memorizzate in calcolatori di una nuova generazione.
Colgo così un significato dei suoi nuclei di colore (dischi o cilindri) inseriti tra le spire di strutture o di leve come a pilotare circuiti di forze fluenti, vinte le resistenze, verso spazi aperti dall’ intelligenza umana. La sua esperienza artistica si trasferisce sulla tela con un sicuro grado di professionalità e con un ampia capacità compositiva e si esprime, anche se l’alfabeto è apparentemente numerabile, in una continua variazione di forme e relazioni, senza perdere le radici generanti e senza cadere nell’ipertrofia. Perciò questa pittura la sento razionale e poetica, contemporanea e proiettata, leggibile, con un suo futuro, in un pianeta non effimero, quindi liberante. Dopo una piacevole conversazione con i pittore me ne scendo da Bergamo alta, sotto una gran volta di cielo di cinabro, verso la città imbrunita e riverberata da un’articolazione di sorgenti luminose, solide e mobili come si conviene alla luce a certa ora, a certa bruma vespertina.
Mi sembra di essere ancora nello studio spaziale di Luigi Ravasio, di continuare a percepire il segno delle sue strutture, il flutto dei suoi colori.