Quando, verso la metà degli Anni Settanta, Luigi Ravasio comincia ad esporre le sue opere, l’astrattismo vive già le sue prime insicurezze mentre nuovi umori – pokeristi, concettuali, post e trans – vanno diffondendosi nel panorama artistico.
Il cambio di rotta però poco incide sull’attività del nostro pittore la cui scelta astratta (del tutto estranea a “brezze” contingenti) è tanto seriamente motivata da aver quietamente attraversato i turbolenti Anni Ottanta e da riproporsi con nuovo vigore e con il noto rigore in questi tempi di ulteriori incertezze.
Quello di Ravasio è un astrattismo dalle connotazioni tanto precise quanto inusuali; “Un’arte ispirata alla perfezione delle leggi scientifiche e matematiche” così si esprime Mario De Micheli a proposito di Mondrian in “ le avanguardie artistiche del Novecento”, Milano, 1984, p.266), tesa ad organizzarsi in griglie perfettamente strutturate, dai caratteri atemporali e assoluti, ma capace di esiti emotivamente qualificati e fruibili individualmente.
In questa originale coesistenza di due elementi profondamente distanti l’uno dall’altro, è la nota fondamentale della pittura di Ravasio. Da una parte l’oggettività della fase progettuale basata su lunghi calcoli matematici e su calibrati rapporti numerici fra le varie componenti dell’opera, dall’altra la individuale godibilità emotiva ed este- tica lasciata allo spettatore, che dispone della massima libertà di partecipare con la propria sensibilità ai ritmi formali e ai bagliori cromatici dell’opera. Un testo astratto dunque decisamente “aperto” che richiede addirittura una sorta di collaborazione creativa dello spettatore nel momento della visione, secondo un rapporto attivo opera-fruitore già sollecitato e ampiamente sperimentato recentemente dalla Arte Optical ma, in quel contesto, legato soprattutto a cotè psicologico dello spettatore.
Queste opere hanno insomma origini razionali ma non sfociano in realizzazioni severamente neocostruttiviste, e presentano una godibilità lirica senza affondare le radici in impulsi creativi di stampo espressionista.
Poiché esse danno luogo a forme “astratte” ma perfettamente “concrete” nei rapporti dimensionali e nella espansione tridimensionale, è fin troppo semplice ricondurle, almeno teoricamente, al filone del Concretismo storico che aveva tentato fra gli Anni Trenta e Sessanta di questo secolo di organizzare l’astrattismo in una sin- tassi il più possibile solida, a partire da Mondrian e Van Doesburg fino a Max Bill, passando per l’esperienza del MAC milanese. E in realtà è proprio l’elemento sintattico della pittura di Ravasio, quello cioè legato ai rapporti interni all’opera, ad attirare l’in- teresse dello spettatore. Ma è la componente lessicale emotiva (l’aria tersa del contesto tridimensionale, il cromatismo abilissimo, i giochi di vuoto-pieno, la direzione contrastante delle linee di forza) ad affascinarlo.
In altri termini Luigi Ravasio pratica un astrattismo che si potrebbe definire “classico”.
In primo luogo perché si richiama alle prime e più genuine esperienza del concretismo, in seguito esasperate (piuttosto che approfondite) da irrigidimenti struttu- rali e dalla prevalenza assoluta della dimensione linguistica. In secondo luogo perché Ravasio riesce a far vivere, in un contesto decisamente moderno, due strumenti “antichi”: la prospettiva, applicata con estrema precisione, e il colore ad olio, modulato tonalmente e in stesure assolutamente uniformi. Infine perché riesce – misteriosamente – a conferire anima e sensibilità ad un’opera creata e realizzata con i crismi della fredda esattezza scientifica.
In particolare in queste ultime opere, incentrate sul ruolo della “spirale” nello spazio, si registrano, rispetto alla produzione precedente, una evidente rarefazione formale e una cura cromatica talmente raffinata (sia nelle modulazioni tonali che timbriche) da creare ambientazioni altamente suggestive.
L’autore ha superato le fughe vorticose e le capriole sinuose tipiche dei suoi nastri e si concentra ora su quei momenti in cui l’eterno contrasto di forze – sempre presente – si ferma in momenti di sovrano, sereno, forse irripetibile ma comunque esistente, equilibrio vitale.