Constructio et dignitas ci invitano alle porte della pittura di Luigi Ravasio.
È nel piacere della costruzione – in un mondo di geometrie da farsi o in termini simili dimostrato – la linea più evidente, in grassetto. I pensieri primari sono giocati tra risvolti spaziali e situazioni; il tutto impiantato in una struttura da emblema. Il simbolico matericamente oscuro e concettualmente pronto ad alludere viene a prevalere sulla composizione perché attira di più e ci rende più vicini al tragitto costruttivo degli oggetti.
La dignitas, decoro/bellezza, risulta chiara nella capacità di trattare e di rendere il fatto (quello rappresentato) irriducibile, in maniera convincente. Queste trasformazioni da scenario mentale, queste generazioni spaziali assurgono a simboli in un contrappunto (oggetto e spazio in cui vive) da tempo imprecisato.
Lo sguardo allora si placa in una morbidezza con la sollecitudine dei desideri di vastità e dei parametri di restrizione, di misurazione e di incredibile scompigliamento, a perdere memoria dell’attuale e del contingente, con l’invito a un torpore malinconico.
La dimensionalità di Ravasio, con i non voluti riferimenti, anima uno spazio simbolico talmente multidimensionale da diventare una doppia misura, riconducibile a volte a tabelle delle forme introverse, talaltra ad ammiccamenti dell’ irreale impossibile.
Gli alfabeti di creazione, di attraversamento, di passaggio non possono essere discosti da organismi dell’intelletto, dalle evocazioni, dalle realtà dell’immagine. L’ oggetto poi potrebbe essere meteora, cometa, quid astrale.